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Patologie

Adenoma ipofisario

L’adenoma ipofisario è un tumore benigno che si sviluppa dall’ipofisi, una piccola ghiandola che si trova all’interno del cranio dentro la sella turcica.
L’ipofisi, tramite la produzione di ormoni è deputata al controllo di tutte le altre ghiandole dell’organismo e quindi svolge un’azione di modulazione di tutte le funzioni vitali: dalla crescita allo sviluppo degli organi sessuali, dallo sviluppo neuropsichico alla risposta agli stress.
Gli adenomi ipofisari possono essere “secernenti”, quando producono ormoni, o “non secernenti”. A seconda delle dimensioni si parla di microadenomi (<1 cm) o macroadenomi (>1 cm).
I sintomi possono essere variabili e associati al tipo di ormone prodotto (alterazione del ciclo mestruale, riduzione della libido, diabete, ipertensione...). Altri sintomi invece sono dovuti all’effetto massa del tumore sulle strutture circostanti ed in particolare sui nervi ottici o sul chiasma ottico con conseguenti disturbi del campo visivo. Durante la sua crescita l’adenoma può comprimere il seno cavernoso dove decorre la carotide e alcuni nervi cranici che regolano i movimenti dei muscoli oculari con conseguente diplopia (visione doppia). In alcuni casi gli adenomi possono sanguinare e manifestarsi con violenta cefalea e amaurosi (perdita transitoria o definitiva della vista).
Alcuni adenomi (es i prolattinomi) sono particolarmente responsivi alla terapia medica. Invece per gli adenomi non secernenti o alcuni adenomi secernenti (GH, TSH secernenti...) il trattamento di scelta è chirurgico, soprattutto in caso di deficit del campo visivo.
Nella maggior parte dei casi si effettua un accesso transfenoidale, attraverso la cavità nasale con l’ausilio dell’endoscopio che consiste di raggiungere la base della testa e asportare l’adenoma. In casi eccezionali si può effettuare un intervento transcranico (adenomi di grandi dimensioni infiltranti).

Aneurisma cerebrale

Gli aneurismi sono delle dilatazioni patologiche di un vaso arterioso cerebrale. La forma più tipica di un aneurisma è quella di una sacca connessa con il vaso di origine con una parte più stretta detta colletto. La rottura di un aneurisma cerebrale è un evento molto grave che provoca, nella maggior parte dei casi, un emorragia subaracnoidea con lo spandimento di sangue tra i solchi cerebrali. In alcuni casi si possono avere dei veri e propri ematomi cerebrali con distruzione delle cellule nervose o con ostruzione dei ventricoli cerebrali e conseguente idrocefalo. Classicamente la rottura di un aneurisma si manifesta con un violento dolore nucale (a colpo di pugnale), seguito da sintomi molto variabili che possono andare dalla semplice cefalea al coma.
La diagnosi di aneurisma viene effettuata tramite un esame di angio TC cranio seguita da uno studio angiografico che, tramite un incannulamento dell’arteria femorale, consente di visualizzare tutto il circolo vascolare cerebrale.
Il trattamento di un aneurisma può essere:
Endovascolare (embolizzazione): nella stessa seduta angiografica è possibile l’inserimento di spirali metalliche all’interno della sacca in modo da escluderla dal circolo anterioso. E’ il trattamento di scelta soprattutto per gli aneurismi cerebrali del distretto vertebro-basilare.
Chirurgico: tramite il clipping diretto dell’aneurisma alla sua base mediante una piccola clip in titanio, in modo da escluderlo dal circolo vascolare cerebrale. Il trattamento chirurgico viene effettuato sempre in presenza di un ematoma cerebrale e quando, per la conformazione dell’aneurisma o per la sua sede, non è possibile effettuare un trattamento embolizzante.

Angiomi cavernosi

Gli angiomi cavernosi sono formati da anomali e sottili vasi sinusoidali. Assieme a tali vasi è presente del sangue. Quest’ultimo non ha un aspetto omogeneo perché è in varie fasi di dissoluzione/formazione del coagulo. Si localizzano a livello degli emisferi cerebrali, raramente a livello del midollo spinale. Nel 50% dei casi i cavernomi sono multipli. Queste formazioni non possono essere visualizzate con l’angiografia ma con la RM, in particolare con le sequenze T2 gradient echo che mostrano il coagulo nelle sue diverse fasi. All’interno del cavernoma non è interposto tessuto cerebrale. Clinicamente posso presentarsi con crisi epilettiche o meno frequentemente con sintomi legati ad una emorragia (forte cefalea, deficit motori, coma). Il trattamento dei cavernomi prevede osservazione clinica (se asintomatici e di piccole dimensioni) oppure la chirurgia (se sintomatici o di discrete dimensioni). Il trattamento radioterapico non sembra avere degli effetti rilevanti.

Discopatia lombare

Oggi la discopatia è la principale causa del dolore lombare (low back pain). La discopatia può essere classificata in base all’aspetto del disco in Risonanza Magnetica (Pfirrmann’s Classification) in 5 gradi. Può coinvolgere uno o più dischi. La frequenza della discopatia aumenta con l’età. Il progredire della discopatia e quindi della degenerazione discale determina una riduzione della lordosi lombare. Questo in alcuni pazienti porta ad una alterazione del bilancio sagittale dell’intera colonna vertebrale. Il trattamento della discopatia lombare è complesso ed il chirurgo vertebrale può scegliere tra differenti tecniche più o meno invasive, ma la scelta del trattamento deve prevedere una attenta valutazione del paziente e delle immagini radiologiche.

Ernia del disco cervicale

L’ernia cervicale consiste nella fuoriuscita di una porzione di nucleo polposo dal disco posto tra due vertebre cervicali con conseguente compressione delle radici nervose cervicali o del midollo spinale. Quando la compressione è data da un ernia calcifica o da una porzione di osso sporgente si parla di ernia “dura” o osteofitosi. Le sedi più frequenti dell’ernia cervicale riguardano i livelli tra C4-C5, C5-C6 e C6-C7, che sono delle vere e proprie cerniere di movimento.
I sintomi con cui si manifesta un ernia cervicale possono essere svariati: dolore cervicale al dolore irradiato a uno o entrambi gli arti superiori (cervicobrachialgia), disturbi sensitivi (formicolio, parestesia), sensazione di scosse elettriche irradiate ai 4 arti, disturbi di forza degli arti superiori o anche dei quattro arti se l’ernia coinvolge il midollo spinale (mielopatia), disturbi urinari (incontinenza), difficoltà alla deambulazione. La terapia medica (FANS o cortisone) può agire sul controllo dell’infiammazione e del dolore.
Se i sintomi sono resistenti alla terapia medica o si associano i disturbi di mielopatia (compressione sul midollo con deficit ai 4 arti) si rende necessario l’intervento chirurgico.
L’approccio si effettua per via anteriore praticando una piccola incisione cutanea orizzontale lungo una piega del collo; la trachea e l’esofago vengono spostati in modo da esporre la colonna cervicale. Tramite un monitor in sala operatoria si identifica il livello discale da trattare e con il microscopio si rimuove il disco cervicale, che viene sostituito da una gabbietta (“cage”) cervicale (in lega di titanio o altro materiale amagnetico). Vengono quindi asportati l’ernia e gli speroni artrosici (osteofiti); talvolta, per ernie a più livelli, si rende necessaria la “corpectomia”, cioè la sostituzione di tutta la vertebra con una gabbietta delle stesse dimensioni, che può essere fissata alle vertebre con una sottile placca. La prognosi è buona con un basso tasso di complicanze. Il paziente sarà invitato a mantenere un collare cervicale per 30 giorni per garantire la fusione tra le vertebre. Nei casi di gravi compressioni sul midollo l’intervento può produrre un miglioramento dei sintomi solo se eseguito precocemente.

Ernia del disco lombare

L’ernia del disco lombare è una conseguenza della degenerazione discale. La storia clinica dei pazienti con ernia del disco generalmente inizia con un dolore lombare che dopo qualche giorno/settimana si sposta ad un arto inferiore (lombosciatalgia). In questa fase il paziente tende a cambiare posizione frequentemente e ad evitare gli sforzi fisici. Nei casi più gravi la sintomatologia può provocare anche un deficit di forza o disturbi sfinterici (sindrome della cauda). Quest’ultima è un’emergenza e necessita di un trattamento chirurgico urgente.
Il trattamento dell’ernia del disco lombare inizialmente prevede riposo al letto e terapia cortisonica. Se la sintomatologia del paziente non migliora dopo tale trattamento bisogna eseguire un intervento di microdiscectomia.

Ernia del disco toracica

Rispetto alle ernie discali cervicali e lombari l’incidenza delle ernie discali toraciche è molto inferiore, questo perché la gabbia toracica con le articolazioni costovertebrali aumenta la stabilità della colonna toracica e riduce il movimento a livello del disco intervertebrale. Circa il 37% delle ernie toraciche sono asintomatiche. Quando la compressione a livello midollare determina una alterazione funzionale insorgono problemi sensitivi, parestesie a tipo formicolio, deficit motori e nei casi più gravi disturbi sfinterici. Il trattamento delle ernie toraciche che creano una alterazione funzionale midollare è chirurgico. In considerazione delle caratteristiche anatomiche di questo distretto sono stati sviluppati differenti approcci in base alla “consistenza” ed alla localizzazione dell’ernia toracica. Per semplificare possiamo affermare che le ernie “dure” (calcifiche) e quelle anteriori al midollo dorsale vengono rimosso con un approccio anteriore (minitoracotomia), mentre le ernie “molli” e laterali al midollo vengono rimosse con un approccio posterolaterale (rimozione della lamina e della faccetta).

Fistola rinoliquorale

La fistola rinoliquorale consiste nella perdita del liquor cefalorachidiano dal naso. Tale problema può compare successivamente: ad un intervento chirurgico, ad un trauma cranico, ad una infezione, alla crescita di un tumore. Attualmente esistono differenti tipo di trattamento. Comunque il trattamento più efficace al momento risulta essere quello chirurgico, utilizzando la tecnica endoscopica con un approccio transnasosfenoidale.

Fratture vertebrali

Le fratture vertebrali possono verificarsi in seguito ad un trauma nei pazienti giovani-adulti oppure in seguito ad una perdita della massa ossea (osteoporosi). Le fratture osteoporotiche si verificano più frequentemente nelle donne e coinvolgono il segmento toracolombare. Attualmente oltre al trattamento con busto esistono delle tecniche chirurgiche mininvasive (cifoplastica, vertebroplastica) che permettono di ottenere in tempi molto brevi (ore) una riduzione del dolore, una stabilità del segmento fratturato, ed una mobilizzazione del paziente. Queste tecniche possono essere eseguite anche in pazienti anziani perché: non prevedono perdite ematiche e possono essere effettuate anche in anestesia locale.
Esistono differenti tipi di fratture vertebrali post-traumatiche. Differenti classificazioni sono state create per questo tipo di lesioni per agevolare il chirurgo nella scelta del trattamento adeguato per ogni singolo paziente. Le aree della colonna vertebrale coinvolte nei traumi sono suddivise in 4: il tratto cranio-cervicale che comprende l’occipite e le prime due vertebre cervicali, il tratto cervicale basso (da C3 a C7), il tratto toracolombare (da T1 ad L4) e la giunzione lombosacrale che comprende l’ultima vertebra lombare ed il sacro. Il trattamento chirurgico deve essere scelto in base al tratto della colonna vertebrale coinvolto ed in base al tipo di frattura.

Idrocefalo

L’idrocefalo è una malattia caratterizzata da un accumulo di liquor cefalorachidiano all’interno delle cavità della testa chiamate ventricoli cerebrali che si dilatano. L’aumento delle dimensioni dei ventricoli causa un incremento della pressione intracranica con progressivo danno ai tessuti cerebrali.
L’idrocefalo può essere ostruttivo, per blocco della circolazione liquorale (stenosi, emorragie, tumori, esiti di infezioni) o comunicante (per riduzione dell’assorbimento del liquor da parte del sistema venoso). In alcuni tumori l’idrocefalo si sviluppa per una eccessiva produzione del liquor (papilloma dei plessi corioidei).
L’idrocefalo può essere trattato chirurgicamente tramite due procedure:
Terzoventricolostomia: consiste nel praticare un foro nel pavimento del terzo ventricolo per ripristinare la corretta circolazione del liquor. Questa procedura viene effettuata tramite un piccolo foro di trapano che consente di inserire un endoscopio nei ventricoli e, tramite una telecamera, di praticare la stomia. La procedura ha ottimi risultati negli idrocefali ostruttivi.
Derivazione o shunt ventricolo-peritoneale: è un dispositivo che consente di drenare la quantità del liquor in eccesso verso la cavità addominale. Si inserisce un catetere nei ventricoli connesso ad una valvola che, quando vi sono gli aumenti di pressione intracranica, consente di scaricare la quota di liquor in eccesso in addome, tramite un altro catetere sottocutaneo che termina nel peritoneo.

MAV cerebrale

Le malformazioni artero-venose (MAV) sono delle anomalie vascolari caratterizzate da una comunicazione diretta, patologica, tra arterie e vene che sono dilatate e presentano un decorso tortuoso a formare un vero e proprio groviglio di vasi detto nidus.
Sono caratterizzate dalla mancanza del letto capillare, che normalmente media il passaggio tra il sangue arterioso e quello venoso.
Le MAV possono essere responsabili di crisi epilettiche o di deficit neurologici per furto di sangue dai distretti cerebrali circostanti. La rottura di una MAV si manifesta di solito con un ematoma intracerebrale che, a seconda delle dimensioni, può causare un deficit neurologico limitati o danni più gravi fino al coma. Il tasso di sanguinamento annuale di una MAV si assesta intorno al 4%. Il rischio di emorragia è più alto nel caso in cui la MAV abbia già sanguinato e tale rischio è particolarmente elevato nei primi cinque anni successivi al sanguinamento. In caso di sospetto di MAV questa può essere definita in maniera chiara con una RM encefalo e quindi con un angiografia che consente di identificare l’architettura della malformazione. Il trattamento di una MAV può essere:
chirurgico: tramite rimozione completa del nido della mav previa deafferentazione dei rami patologici. In caso di MAV molto estese, profonde o che interessano aree critiche il trattamento chirurgico è gravato da rischi molto elevati e pertanto non praticabile
Endovascolare: tramite l’iniezione di materiale embolizzante nel nidus. In caso di MAV con più vasi venosi o arteriosi l’embolizzazione può risultare incompleta.
Radiochirurgia stereotassica: consiste nel “bombardamento” mirato della mav da parte di radiazioni ionizzanti che creano una trombosi dei vasi con progressiva occlusione della malformazione. Si tratta di un processo molto lento che può richiedere dai 6 mesi fino ai 3 anni ed è scarsamente efficace per MAV di grandi dimensioni.

Metastasi cerebrali

Le metastasi sono le neoformazioni che più frequentemente si riscontrano a livello cerebrale. Il loro aumento nell’ultimo decennio dipende principalmente dalla presenza di nuove chemioterapie che hanno allungato la vita dei pazienti oncologici. Circa il 75% delle metastasi cerebrali si localizza a livello degli emisferi. Mentre si riscontrano con minor frequenza a livello del cervelletto e della fossa cranica posteriore. I tumori primitivi che con maggior percentuale hanno una disseminazione secondaria cerebrale sono il tumore polmonare e quello della mammella. I farmaci chemioterapici non riescono facilmente ad attraversare la barriera-emato-encefalica per cui spesso le metastasi cerebrali necessitano di trattamento chirurgico.

Neurinoma

Il neurinoma dell’acustico o schwannoma vestibolare origina dalle cellule di Schwann che ricoprono la parte superiore del nervo vestibolare. Istologicamente benigno. Rappresenta l’8-10% dei tumori cerebrali. Nel 95% dei casi è unilaterale. Inizialmente il paziente con un neurinoma dell’acustico riferisce riduzione o perduta dell’udito. Successivamente quando il neurinoma inizia a crescere compaiono sintomi come gli acufeni, alterazione dell’equilibrio sino alla paresi del nervo facciale e di altre strutture nervose. L’esame per la diagnosi è la Risonanza Magnetica cerebrale con e senza il mezzo di contrasto. Il trattamento prevede: se il neurinoma è di piccole dimensioni, osservazione clinica o terapia radiante; se le dimensioni aumentano è necessario un trattamento chirurgico.

Nevralgia del trigemino

E’ un dolore improvviso, acuto, lancinante, trafittivo che viene avvertito ad un lato della faccia e può interessare la mandibola, la guancia o la metà della fronte e l’occhio.
La nevralgia del trigemino è una patologia particolarmente invalidante, che colpisce prevalentemente l’anziano, non risparmiando i giovani, in cui frequentemente rappresenta un sintomo della Sclerosi Multipla. Tra un episodio e l’altro il paziente vive nell’angosciosa attesa del dolore; spesso è scambiato per depresso o parkinsoniano, a causa del viso triste e inespressivo. Le più normali attività diventano penose: bere, mangiare, lavarsi i denti, sorridere, uscire in strada possono scatenare l’attacco. “Tagliatemi la testa! Ma fatemi passare il dolore!” - dicono i pazienti esausti dopo l’episodio doloroso -. E’ da tempo evidente che la nevralgia del trigemino dipende da un “conflitto neuro-vascolare”, tra un’arteria “anomala e tortuosa”, che nel corso degli anni si e’ indurita, e il trigemino che parallelamente si e’ “usurato”. Proprio nella parte posteriore della testa, dietro l’orecchio, tra la mastoide e il cervelletto, un’arteria più tortuosa e più dura del normale va a pulsare contro il nervo trigemino provocando una lesione della guaina mielinica, inducendo una sorta di corto circuito. La diagnosi di nevralgia del trigemino è basata essenzialmente sul racconto dei sintomi da parte del paziente; è necessario distinguere tra nevralgia trigeminale tipica ed altre dolori della faccia (algie facciali atipiche, cefalee vasomotorie, emicranie, cefalee muscolotensive e psicosomatiche, etc.). La Risonanza Magnetica deve comunque essere sempre eseguita per escludere altre patologie (cisti, tumori, infiammazioni, sclerosi, etc.) che possono provocare sintomi simili e talvolta per evidenziare la piccola arteria che comprime il nervo (il “conflitto”); l’esame deve essere eseguito in Centri qualificati, dotati di macchinari di ultima generazione (almeno 1,5 Tesla), utilizzando le sequenze adatte (3D TOF, Fiesta, Ciss, a seconda dell’apparecchiatura utilizzata). Negli anni molti interventi sono stati proposti per i pazienti refrattari a terapia medica; molto diffusi, sebbene palliativi, erano gli interventi percutanei (cioè attraverso un ago) apparentemente più semplici, in realtà ancora più aggressivi sul nervo, che veniva coagulato (termorizotomia), o compresso con un palloncino, oppure leso chimicamente con l’alcool o il glicerolo. Anche le tecniche di radioterapia (gamma-knife e cyber-knife) vanno a provocare una lesione sul nervo, senza andare alla causa del dolore (neurolesione). Oggi la “MicroDecompressioneVascolare” (MVD) viene considerata la prima scelta perché più efficace e più specifica, perché’ va a separare dal nervo quell’arteria che lo irrita. L’intervento si esegue utilizzando il microscopio operatorio a forte ingrandimento ovvero l’endoscopio, in anestesia generale, e dura circa 2 ore. Si pratica una piccola incisione dietro l’orecchio e attraverso un’apertura nell’osso occipitale grande come una moneta da 1 euro, si raggiunge il nervo trigeminale senza spostare il cervelletto. L’arteria viene allontanata dal nervo e incollata distante. Nei casi in cui, nonostante la storia tipica e un buon reperto di Risonanza Magnetica, non viene individuato alcun conflitto (missed conflict), si può procedere nella stessa seduta ad un’incisione di 3 mm della zona di ingresso del trigemino (TREZL), con risultati più favorevoli di quelli delle tecniche percutanee e della radioterapia. L’intervento di MVD può essere eseguito in più del 90 % dei pazienti candidati. Il sollievo dal dolore è immediato in più dell’80% dei casi ed i pazienti, spesso increduli del ritrovato benessere dopo tanta sofferenza, possono fare a meno dei farmaci ed andare a casa dopo 5 giorni. Nella maggior parte dei casi il beneficio dura tutta la vita.

Spondilolistesi

La spondilolistesi consiste nello scivolamento in avanti di una vertebra rispetto alla vertebra sottostante.
La spondilolistesi può essere congenita, da lisi istmica, per mancata fusione della regione dell’istmo vertebrale (regione dell’arco posteriore della vertebra tra le articolazioni superiore ed inferiore) oppure acquisita (listesi degenerativa) o traumatica.
Lo scivolamento delle vertebre è causa di riduzione delle dimensioni del canale spinale e dei forami di coniugazione, con conseguente compressione del sacco durale e delle radici spinali.
I sintomi sono caratterizzati da dolore lombare e dolore sciatico con limitazione più o meno grave della deambulazione; maggiore è il grado di listesi, maggiore sarà l’entità dei sintomi e dei deficit neurologici associati.
La diagnosi viene effettuata tramite TC lombo-sacrale (consente di identificare la lisi istmica quando presente), RM lombo sacrale (per evidenziare il grado di compressione sulle strutture nervose ) e RX con prove dinamiche in flesso estensione (per studiare il grado in instabilità delle vertebre).
In caso di minimo scivolamento con modesti disturbi dolorosi, il trattamento può essere conservativo: riposo, busto lombare, ginnastica posturale. In caso di listesi più marcate, sintomatologia dolorosa intrattabile o deficit neurologici ingravescenti, è necessario un intervento di artrodesi lombare mediante l’inserimento di placche e viti in titanio associato o meno ad asportazione del disco intervertebrale con posizionamento di una protesi tra le vertebre (cage intersomatica) o a decompressione del canale spinale (laminectomia).

Stenosi cervicale

La stenosi cervicale è causata dalla spondilosi cervicale, ed è caratterizzata dalla riduzione del diametro del canale vertebrale cervicale. Il paziente con stenosi cervicale inizialmente riferisce dolore a livello della regione cervicale, poi comparsa di disturbi agli arti superiori ed inferiori ed infine disturbi durante la deambulazione. Tipicamente il paziente durante la visita medica presenta una iperreflessia agli arti inferiori. Per uno studio accurato di tale patologia è necessario eseguire la Risonanza Magnetica, la Tomografia Computerizzata e la Radiografia cervicale. Quando i sintomi del paziente non rispondo più alla terapia medica ed a quella fisioterapica è consigliato eseguire un intervento chirurgico. Attualmente esistono differenti approcci per il trattamento di tale patologia: approcci per via anteriore (microdiscectomia, corpectomia) ed approcci per via posteriore (laminectomia, laminoplastica, artrodesi cervicale posteriore). Il tipo di intervento chirurgico deve essere pianificato in base alla sintomatologia del paziente ed in base alle indagini radiologiche.

Stenosi lombare

La stenosi lombare o stenosi del canale vertebrale lombare è una sindrome clinica di dolore agli arti inferiori (con o senza lombalgia) che peggiora durante la deambulazione. Tale sindrome è causata da una riduzione del diametro del canale vertebrale lombare che determina una compressione delle strutture neurali e vascolari contenute al suo interno. La sintomatologia generalmente migliora con la flessione del busto o con la posizione seduta. L’incidenza di tale patologia sta aumentando a causa dell’allungamento dell’aspettativa di vita e quindi dell’età della popolazione. Infatti tale patologia generalmente coinvolge la popolazione adulta ed anziana. L’esame radiologico di prima scelta per diagnosticare la stenosi lombare è la risonanza magnetica, nei pazienti in cui tale esame non può essere eseguito si consiglia la tomografia computerizzata (TC) o la mielo-TC. Quando la sintomatologia inizia a limitare le normali attività quotidiane del paziente è consigliato eseguire un intervento chirurgico di decompressione delle strutture neurovascolari contenute all’interno del canale vertebrale lombare. Con le nuove tecniche miniinvasive che prevedono minori perdite ematiche ed un minore stress chirurgico, tale intervento può essere eseguito anche in un paziente anziano.

Trauma cranico

Il trauma cranico è un evento che coinvolge il cranio e può generare differenti conseguenze. Alcune di queste conseguenze richiedono una semplice osservazione clinica con riposo, altre richiedono un intervento chirurgico. Il trauma cranico può provare: fratture della teca cranica, concussione cerebrale, contusione cerebrale, ematoma epidurale, ematoma subdurale ed ematoma intraparenchimale. Quando una di queste patologie inizia a generare dei problemi clinici al paziente bisogna intervenire chirurgicamente.

Tunnel carpale

La sindrome del tunnel carpale è la neuropatia da compressione più frequente. Il nervo mediano è compresso a livello del tunnel carpale, quest’ultimo è localizzato prima della piega del polso. Coinvolge principalmente le donne adulte e nel 50% dei casi è bilaterale, anche se generalmente i sintomi sono più gravi in un lato. Una buona valutazione della sintomatologia del paziente e l’esame elettromiografico sono necessari per eseguire una corretta diagnosi. La sindrome del tunnel carpale va differenziata dai sintomi che possono essere causati da un problema a livello del midollo cervicale. L’intervento chirurgico è raccomandato in quei pazienti in cui il dolore dura da più di 6 mesi, per la presenza di parestesie, per la riduzione della sensibilità o per la riduzione della forza.

Tumori cerebrali

Le tecniche chirurgiche per il trattamento dei tumori cerebrali si sono notevolmente evolute permettendo approcci meno invasivi e più sicuri per il paziente. L’utilizzo del microscopio, dell’endoscopio, dell’ecografo e dei monitoraggi neurofisiologici durante l’asportazione dei tumori cerebrali permette al neurochirurgo di rimuovere spesso completamente sia i tumori benigni che maligni; migliorando la qualità di vita del paziente e l’aspettativa di vita.

Tumori del basicranio

I tumori del basicranio rappresentano un insieme di tumori che per la loro sede presentano alcune caratteristiche in comune. All’interno di questo insieme ritroviamo i meningiomi, il craniofaringioma, l’adenoma ipofisario, le metastasi ed altri tipi di tumore. A causa della vicinanza con le strutture ossee della base del cranio, con le arterie del circolo di Willis e con i nervi cranici, il chirurgo deve porre particolare attenzione durante l’asportazione di questo tipo di tumori. La base del cranio è suddivisa in tre aree: fossa cranica anteriore, fossa cranica media e fossa cranica posteriore. In base alla sede del tumore nelle diverse aree e per ridurre al minimo i rischi per il paziente esistono diversi tipi di approcci che il chirurgo può utilizzare. Inoltre è fondamentale l’utilizzo di tecniche microchirurgiche attraverso l’ausilio del microscopio e dell’endoscopio.

Tumori midollari

I tumori midollari si dividono in tumori intradurali e tumori extradurali. A loro volta i tumori intradurali si differenziano in intramidollari ed extramidollari. Tutti questi tumori richiedono per essere trattati, una grande esperienza chirurgica. La scelta dell’approccio chirurgico dipende dalla posizione anatomica del tumore. Attualmente l’intervento per l’asportazione di questo tipo di tumori richiede l’utilizzo di differenti tecnologie come il microscopio, l’ecografo e soprattutto il monitoraggio elettrofisiologico dei nervi del paziente. Il monitoraggio elettrofisiologico è uno strumento fondamentale nella chirurgia dei tumori midollari perché permette di ridurre la percentuale di danneggiare le strutture nervose.

Tumori orbitari

I tumori orbitari sono un eterogeneo gruppo di lesioni che si localizzano all’interno della cavità orbitaria. Sono classificati in intra- ed extraconali in base ai rapporti anatomici con il cono muscolare. Possono essere primitivi (originare dalle strutture all’interno dell’orbita) oppure secondari (metastasi). Sia la TC che la RM sono esami fondamentali per lo studio di tali lesioni. I tumori orbitari dell’adulto più frequenti sono: granuloma cronico (pseudotumor), angioma cavernoso, meningiomi ed il glioma del nervo ottico. I sintomi più frequenti sono: esoftalmo, strabismo e diplopia. Escludendo il granuloma cronico, che viene trattato con terapia cortisonica, le restanti lesioni (quando producono sintomi) necessitano di un trattamento chirurgico.